L’hai vista la partita? Bello il gioco in campo, da ricordare. E l’atmosfera? Magica, avvincente come quella che solo un derby ti regala.
I passaggi costruiti ad arte, i dribbling tra gli avversari, gli assist, le finte, i colpi ad effetto, la palla che dopo aver danzato in cielo, si infila in rete, e l’urlo immenso che riempie lo stadio.
Le smorfie dei giocatori, quelle che parlano, che dicono “ma non è colpa mia … giuro che non l’ho fatto apposta … non l’ho neanche toccato”, i labiali di qualche imprecazione, le espressioni di chi siede in panchina, gli scatti accompagnati da ridicoli saltelli degli allenatori, la scenografia colorata delle curve, le emozioni delle tifoserie, gli scongiuri da casa davanti la tv, con pizze tra le mani e birre sul pavimento.
Puntuali gli interrogativi del dopopartita. Ma poi c’era il fuorigioco? E l’ammonizione? Poteva evitare di fischiarla. Lì forse ci stava anche un rigore. E sì, adesso, non esagerare, i rigori mica si regalano.
È finito così il derby, i giocatori che rientrano negli spogliatoi, gli spalti che lentamente tornano vuoti secondo un defluire ordinato. Da una parte i vincitori che gongolano, dall’altra i tifosi catanesi che stanno già pensando agli sfottò del bar di proprietà palermitana dove vanno a fare colazione, o all’incipit della telefonata del giorno dopo all’azienda di Palermo, dureranno un po’, molto più a lungo della festa di Sant’Agata. Del resto stiamo parlando del derby, sono le conseguenze spiritose e garbate che il rapporto forte con una maglia, con dei colori che si amano, comporta. È questa l’anima del calcio, un mondo dalla capienza infinita, dove c’è spazio per tutti, anche per gli scarsi, per le partite improvvisate sulla sabbia, per gli scapoli e gli ammogliati, per i colleghi di lavoro che smaltiscono la pancetta, per i pulcini, per le squadre giovanili, per l’agonismo delle categorie inferiori, per le società quotate.
Ho scritto di un sogno, disegnato su misura, un sogno dove nessuno si serve della violenza, dove le differenze non separano, dove il calcio è vita, dove non si muore per un colpo allo stomaco. Eccola la linea di confine con la realtà, la supero e mi viene sbattuta in faccia tutta un’altra storia da raccontare, una storia con scene di guerriglia, con il corpo steso a terra dell'ispettore capo della Polizia Filippo Raciti. Non è mai più tornato a casa a parlare con Fabiana, di 15 anni, e Alessio di 9, a raccontare ai suoi figli quanto sia entusiasmante un derby.
I passaggi costruiti ad arte, i dribbling tra gli avversari, gli assist, le finte, i colpi ad effetto, la palla che dopo aver danzato in cielo, si infila in rete, e l’urlo immenso che riempie lo stadio.
Le smorfie dei giocatori, quelle che parlano, che dicono “ma non è colpa mia … giuro che non l’ho fatto apposta … non l’ho neanche toccato”, i labiali di qualche imprecazione, le espressioni di chi siede in panchina, gli scatti accompagnati da ridicoli saltelli degli allenatori, la scenografia colorata delle curve, le emozioni delle tifoserie, gli scongiuri da casa davanti la tv, con pizze tra le mani e birre sul pavimento.
Puntuali gli interrogativi del dopopartita. Ma poi c’era il fuorigioco? E l’ammonizione? Poteva evitare di fischiarla. Lì forse ci stava anche un rigore. E sì, adesso, non esagerare, i rigori mica si regalano.
È finito così il derby, i giocatori che rientrano negli spogliatoi, gli spalti che lentamente tornano vuoti secondo un defluire ordinato. Da una parte i vincitori che gongolano, dall’altra i tifosi catanesi che stanno già pensando agli sfottò del bar di proprietà palermitana dove vanno a fare colazione, o all’incipit della telefonata del giorno dopo all’azienda di Palermo, dureranno un po’, molto più a lungo della festa di Sant’Agata. Del resto stiamo parlando del derby, sono le conseguenze spiritose e garbate che il rapporto forte con una maglia, con dei colori che si amano, comporta. È questa l’anima del calcio, un mondo dalla capienza infinita, dove c’è spazio per tutti, anche per gli scarsi, per le partite improvvisate sulla sabbia, per gli scapoli e gli ammogliati, per i colleghi di lavoro che smaltiscono la pancetta, per i pulcini, per le squadre giovanili, per l’agonismo delle categorie inferiori, per le società quotate.
Ho scritto di un sogno, disegnato su misura, un sogno dove nessuno si serve della violenza, dove le differenze non separano, dove il calcio è vita, dove non si muore per un colpo allo stomaco. Eccola la linea di confine con la realtà, la supero e mi viene sbattuta in faccia tutta un’altra storia da raccontare, una storia con scene di guerriglia, con il corpo steso a terra dell'ispettore capo della Polizia Filippo Raciti. Non è mai più tornato a casa a parlare con Fabiana, di 15 anni, e Alessio di 9, a raccontare ai suoi figli quanto sia entusiasmante un derby.
(da Tifosirosanero per amichevole e cortese concessione dell'autrice)
Colonna sonora: La leva calcistica della classe '68 (Francesco De Gregori)
5 commenti:
A volte succede qualcosa che ti fa passare la voglia di cucinare ... allora telefoni ad un'amica e le chiedi:"Albi prepari tu qualcosa?" ... e lei se ne esce con una pietanza calda e saporita cucinata con tanto amore.
A volte succede che altri mettano in discussione il tuo ruolo nel calcio, il tuo impegno nel far capire che su un campo, tirando calci ad una palla è possible imparare a vivere e non ad uccidere.
Certo, sarebbe bello se le cose andassero davvero come nel sogno..... :(
A volte succede di non capire.
Ti chiedi dove stia il problema. Nel calcio? Non credo.
In un'adeguata organizzazione degli eventi sportivi volta alla tutela degli individui? Forse, ma è solo una conseguenza.
Non credo di potermi definire un appassionato di calcio, ma amo tutti quegli eventi, manifestazioni, che spingono ad aggregarsi, ad entusiasmarsi insieme a chi ti sta vicino.
Ho sempre pensato alla gioia di un goal come ad un "free hug" emotivo, che coinvolge tutti i tifosi di una squadra. Ricordo che da piccolo rimanevo affascinato dalla ola allo stadio ... un'onda umana che trasmetteva gioia.
A volte succede di non capire
Ricordo la mia prima volta allo stadio, la paura mista all'entusiasmo che solo le prime volte sanno darti, e poi ti accorgi rimarranno a vita. Avevo 10 anni. Altre "prime" le ricordo così così, e a volte sono state meglio le seconde;
il pallone per me è stato certezza ed imprevedibilità, semplicità geniale e difficoltà estrema,buona sorte e sfiga massima, tutto in quel rotolare, volare, colpire; quei calci non posso quindi oggi pensarli andati a vuoto.
Albi, non arrenderti.
Bookends.
p.s.
è un piacere beccarvi tutti e tre in in colpo, anzi calcio, solo.
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