martedì 22 maggio 2007

La trovatura





”Piacere, il marito della signora Sgrò sono …”.
Quando aveva cominciato a perdere la propria identità non se lo ricordava proprio, ma sembrava che qualcuno gli avesse spiccicato nome e cognome da addosso per attaccargli le generalità delle persone che conosceva.
Per tutti era l’amico di zio Vicè, o il cognato della tabaccaia all’angolo di Piazza Verdi, insomma pareva che qualcuno al marito della signora Sgrò aveva avuto il capriccio di fregargli i dati anagrafici più essenziali .
Sta cosa che qualcuno si era fregato le uniche due parole che lo identificavano proprio non gli dava pace.
Anzi l’avere smarrito per incuria quelle due parole l’aveva spinto ad avere massima cura e rispetto per tutte le altre. Aveva cominciato a dargli un peso specifico alle parole.
Alcune potevano essere solo sussurrate, altre addirittura di fronte a lui non andavano assolutamente pronunciate.
“Senti ti devi giocare una quota della schedina con me? Ché stavolta minimo facciamo dodici, fidati!”
Ecco questa frase innocente pronunciata da Gnazio il macellaio era peggio di uno sgarro, quel “fidati”, usato così come un semplice intercalare, suonava per il marito della signora Sgrò peggio di un colpo di “cuinnutu i to’ patri”.
“Perché vedi Gnazzì tu non è che mi puoi buttare un fidati così come una timpulata … tu non lo sai, chè scuole ne hai fatto picca, ma fidati è imperativo. E tu la fiducia mica me la puoi domandare a comando!
E poi Gnazzì, non ti seccare, se tu la fiducia me la chiedi, evidentemente dai già per scontato che, al momento, nei tuoi confronti io fiducia ce ne ho pochina e probabilmente tu c’hai nella tua testa dei validissimi motivi per cui io fiducia in te è meglio che ne abbia poca.
Quindi Gnazzì non solo io con te schedina non ne gioco, ma se non mi fai il legittimo piacere di andartene a bbafantoculo, fidati, che tu la schedina dall’infermiere te la fai giocare”
A voi la reazione sembrerà esagerata, ma provate voi a vivere senza avere un nome.
Perché se tu ti sei perso il nome, non è che gli altri ti possono chiamare. E se nessuno ti chiama, anche così solo per farti girare, sei condannato alla solitudine. Insomma farsi fregare il nome è un grande scassamento di minchia!
Che c’aveva un malo carattere, il marito della signora Sgrò, lo sapeva da solo, così spesso e volentieri, per evitare di incontrare qualcuno che glielo ricordasse, per non sapere né leggere né scrivere, se ne andava da solo per il bosco, facendo finta di cercare funghi.
Una mattina stava tampasiando, tranquillo tranquillo quando vicino ad un castagno c’appuntò la vista su una pala, infissa sul terreno. Sopra la pala c’era una coppola rossa. Vista da lontano la pala pareva una croce con sopra una corona di fiori rossi.
Fu un attimo. Il marito della signora Sgrò indossò la coppola e cominciò a scavare proprio nel punto in cui era stata ficcata la pala. Bastarono due vangate che spuntò tra la terra un pezzo di carta ingiallito. Sopra c’era scritto Gaetano. Il nome di suo nonno. Lo stesso nome che suo padre, per rispetto a papà suo, gli aveva appiccicato addosso quando era nato. Era felice Gaetano. Felice che almeno una parte del suo nome ora ce l’aveva. Ora mancava la seconda parola, solo quella serviva per completarlo, ma ora sapeva dove e come cercare.
Quel giorno sparì nel bosco da solo, scavando buche. Qualcuno cominciò a chiamarlo Scavuzzo quell'uomo, che sparì nel bosco, scavando buche, per cercare sé stesso.

Colonna sonora: Parole alate (Meg)

2 commenti:

Valentina ha detto...

Ciao, niente ti avevo scritto prima di registrarmi e mi si è cancellato tutto.
Volevo solo salutarti e dirti che mi capita di leggerti e che mi piace come e cosa scrivi.
Appena ho più tempo ripasso e magari ci presentiamo meglio.
A presto Valentina

Bulgakov ha detto...

Pare che degli scavuzzi frequentino persino i blog. Sono dei web-folletti che rubano i commenti e li nascondono chissaddove.
A presto per le presentazioni e benvenuta alla mia tavola