venerdì 3 febbraio 2017

Un santo vale l'altro...



Mi rapisce il cucchiaio.
È colmo. Raccoglie il riflesso di un frammento del tuo viso.
Un occhio, indiscutibilmente verde.
La perfezione del tuo sopracciglio.
E quella stessa guancia, sulla quale, un secondo prima, poggiavo le labbra, mentre la mia barba vanesia si ostinava a pungerti.
Completo il nostro ordine, chiedendo due calici di vino bianco.
Il locale è deserto. 
La nostra isola del nostro non San Valentino.
Il cameriere chiede se va bene un bianco fermo.
So già che non ti piacerà.
Conosco alla perfezione la smorfia che farai assaggiandolo.
Approvo: "Perfetto, un bianco fermo va benissimo!"
Il cameriere si allontana, sorridendo, raggiunge la cucina con passo veloce e annuncia: 
"I SIGNORI HANNO CHIESTO CHE LA TARTARE DI FASSONA SIA BEN COTTA!"
Le risate della cucina avvolgono il nostro silenzio.
Li sentiamo.
Arrossiamo.
Che vuoi che ne capiscano loro dei nostri capricci!
Impacciato urto la candela.
La cera liquida avvolge la fiamma, inghiottendola.
Restiamo al buio, godendoci la nostra monelleria...

Colonna sonora: Parla Piano (Vinicio Capossela)


giovedì 21 giugno 2012

La frittata è fatta!



C’è una cosa che manca a Palermo.
La mia idea di locale notturno perfetto. La mia utopia.
La scrivo qui nero su bianco senza nemmeno aver paura che me la copiate.
Anzi magari lo faceste!
A voi il business e a me il paradiso!
A Palermo manca il locale della frittata.
Che io sappia, nessun ristorante o trattoria ha in menu la frittata.
Eppure la frittata è buona.
Ci sono milioni di frittate.
Frittata di cipolle, frittata di zucchine, frittata di patate, frittata di fave e piselli, frittata di carciofi, frittata di peperoni, frittata di broccoli, frittata di pasta… qualsiasi cosa può diventare frittata.
Ho visto riciclare di tutto sotto forma di frittata.
Non c’è avanzo che non abbia trovato la sua redenzione in un paio di uova sbattute.
La frittata ha la capacità di sintetizzare l’idea di gusto di chiunque.
Nella sua semplicità o nella sua ricchezza.
Anche di chi odia le uova (ho visto fare anche la frittata con le uova a mare!).
La frittata è enciclopedica.
La scelta della frittata ti racconta una persona meglio delle macchie di Rorschach.
È come il lampadario di Piazza Marina.
Sì quello che, prima o poi, qualcuno ti mostra con orgoglio, noncurante che quello stesso oggetto è la prima cosa  che quindici giorni prima è sparita da casa di povera nonna morta.
Il lampadario di Piazza Marina è quello che trovi a casa dell’amica, che ha appena affittato casa, ma anche dal notaio, che ha ristrutturato il villone a Mondello.
Quello che, comunque, costa quindici euro.
Ne ho visti di tutti i tipi.
In una cucina con tanto di piano bar anni ‘70 ho visto dominare un ceppo con appollaiato un fagiano impagliato. Le lampadine erano messe a mo di candela.
Ne ho visti alcuni, fatti di cartone dipinto e perline colorate, frutto dell’estro di qualche Giovanni Muciaccia indigeno.
Ne ho visti di ogni nazionalità: tunisini, vietnamiti, norvegesi, aztechi.
Uno, signora cciù ggiuro viero, veniva da un salotto di Atlantide!
Il padrone di casa ti guarda con l’entusiasmo di chi ha passato una notte di fuoco con Belen e a bruciapelo ti chiede:
-       Dimmi la verità si vede che è dei mercatini?
E tu invece di rispondere:
-       Ma che mi dici? Io pensavo che l’avevi trovato nel cassonetto!
la verità non la dici, indugi sul “ma che mi dici?” e la chiudi lì.
Ecco vi prego di usare lo stesso tatto nel giudicare il mia modello di perfezione.
Perché l’essenza un po’ kitsch della mia idea di felicità è pane e frittata, una sdraio e, se non c’è niente di meglio in tv, il grande amore della tua vita.

martedì 19 giugno 2012

Parallele




Sbatto le mani ed una nuvola di magnesio avvolge il mio applauso.
Una lama di sole mostra il volo impazzito delle particelle bianche, che lentamente si disperdono in aria.
Un passo.
Un salto.
E le mani immediatamente stringono gli staggi.
Un’oscillazione in avanti e poi subito il corpo indietro.
In verticale sulle parallele simmetriche.
Le braccia tese.
I piedi uniti e le punte in estensione, verso il cielo.
Sto pregando a testa in giù.
Prego che i polsi fasciati non cedano.
Che gli addominali non esplodano.
Che i lombari non collassino.
Che i bicipiti mi assistano.
E che i congiuntivi siano tutti giusti.
È il mio momento di equilibrio.
La mia messa.
Il silenzio è come deve assolutamente essere: religioso.
Prima dell’eucaristia, la parabola:
In quel tempo ascoltavo i Queen.  I Queen e Battisti. Ma non le cose ricercate tipo “Mustapha”  e “Abbracciala Abbracciali Abbraciati”. No ero tutto Canzone del sole ed Innuendo.
Tanti giri di Do ed una sconfinata verginità musicale.
Avevo appena capito che si poteva suonare un Sol7 senza saper fare il barrè.
Ero diventato un virtuoso del Mi cantino.
Ci facevo il Bolero di Ravel ed il Ciclone di Pieraccioni.
Non tutto l’assolo. Poche note. Poi mi fermavo e sorridevo. E per lei ero il migliore… anche con la chitarra.
L’amore aveva il nome di una donna solamente e solo di quella, inciso diecimila volte sullo zaino invicta vicino all’enorme scritta Led Zeppelin a pennarello indelebile.
Ero assolutamente convinto che avrei aperto un negozio di modellismo a Lisbona.
Dalle parti di Bèlem.
Mi sarei ingozzato di pastilles, guadagnandomi soprannomi vari, tutti riconducibili a suini o pachidermi.
Valeria è grande. Ha diciassette anni. Uno più di me.
Ci dividiamo le cuffie del walkman.
… il carretto passava e quell’uomo gridava… GHIACCIOLIIII!
Quella cretina di mia sorella!
Si diverte a registrare sulle mie cassette.
Valeria ride.
La bacio.
I suoi occhi diventano enormi.
Parlano.
Dicono: “Che cavolo stai facendo?”
Ma io non li ascolto.
Non li ascoltiamo.
Ci baciamo.
Lo zaino è pesante, perdo l’equilibrio e cado a terra.
Valeria ride di nuovo.
-       Parti domani?
-       Sì, sì!
-       Sicura?
-       Scherzi? Cioè Londra, mica la tua Lisbona!
-       E che fai a Londra?
-       Imparo l’inglese.
-       E poi?
-       Ci scrivo una canzone!
-       E poi?
-       Ci divento famosa!
-       E poi?
-       A te nemmeno ti penso!
-       Stronza!
-       Stronzo tu!
-       Torni?
-       Buh!

Colonna sonora: Abitudine (Subsonica)

lunedì 26 marzo 2012

Piccoli aiuti



La lama scivola veloce.
Accarezza lo spicchio, lacerando petali d’aglio.
Il profumo del prezzemolo si mescola all’odore acre, che ricorda pesti speziati e spaghettate improvvisate.
I carciofi annegano nell’acqua e limone.
Le dita tamburellano sulla tovaglia cerata.
Lentamente accarezzano la fantasia di ciliegie e quadretti, rievocando la migliore delle esecuzioni di Keith Jarrett.
Mentre nonna cucina, contemplo il Paradiso.
Sembrano le figurine dei calciatori. Alcune sono lisce e nuove nuove. La maggior parte sono ruvide e odorano di carta vecchia.
Zia Lia tiene tra le mani il suo mazzo di santini ed inizia a metterli ad uno ad uno sul tavolo.
Le dita di zia Lia sono tutte storte, i santini sul tavolo sono perfettamente allineati.
Mi ricorda mio padre, quando fa il solitario.
Sant’Antonio da Padova sotto il Sacro Cuore di Gesù.
Sant’Agostino di fianco alla Madonna.
Il santino di Padre Pio a solo… in alto a destra… dieci centimetri lontano dagli altri.
Mentre zia compone il suo mosaico di tuniche e aureole, rompo il silenzio.
-       - Questo chi è?
-       - Quale?
-       - Questo tutto nudo.
Scorro le dita tra la schiera dell’esercito di carta di zia, indicando la mia scelta, mentre i moscerini indugiano sulle arance troppo mature.
-       -Quello con la barba?
-       -Sì quello!
-       - Questo è Sant’Onofrio u pilusu!          
-       - E che fa?
-       - Fa trovare le cose!
-       - Me lo regali?
-       - E pigliatelo.
-       - E me lo dai pure questo?
-       - Questo qui?
-       - Sì che c’ha l’armatura… così li faccio combattere, e si fanno compagnia. Come si chiama?
-       - Sant’Espedito!
-       - E che fa il postino?
Lo sguardo di zia Lia cambia immediatamente. Fulmina me ed ogni cosa.
I moscerini si fermano in volo.
I polmoni smettono di gonfiarsi.
Ho detto una minchiata.
Ok, mezza parola.
Abbasso lo sguardo.
-       Questo è il santo dell’ultima ora! Prenditelo pure!
-       Grazie zia.
Io nel portafogli ho due santini.
Sant’Onofrio è vecchio e brutto. Serve per le cose perse, che vanno trovate.
Sant’Espedito è giovane e bello. È il santo della buona morte. Delle cose che perdi per sempre.

mercoledì 21 marzo 2012

Per fare una poesia



Come si fa una poesia?
Prima scegli una parola,
poi l’impasti con la cazzuola
con una bella bugia!
Scrivi “mai più”,
per dire che l’ami.
Chiami “Belzebù”,
quello che brami.
Invochi la sera,
per bestemmiare;
un’acquasantiera,
per perdonare.
Con la malta preparata,
fai un bel muro di emozioni.
Sì che poi dai una testata
e non ti giran più i coglioni!

sabato 3 marzo 2012

Problema


"Un contadino va al mercato per vendere le uova..."
"STAI ATTENTO!" urlò una folla di studenti di matematica!

Colonna sonora: Sai qual è il problema (Jovanotti)

giovedì 5 gennaio 2012

Un sorriso per Margherita


Si chiamava Margherita.
Come il fiore.
Come la pizza.
Come la canzone.
Non è difficile immaginare una conversazione che non c'è mai stata.

- Perciò, professoressa, nel 2012 finisce il mondo?
-Tiè! Facciamo corna!
- Ma se lo immagina? Moriamo tutti e cosa resta? L'Eneide tradotta da Hannibal Caro!
- Ma lo sai che ho ancora tutti i tuoi disegni dell'Eneide conservati?
- Miiii negghie! Ma perché non ci fa un bel falò!

L'ultima volta l'ho incontrata qualche mese fa. L'ho chiamata una volta, poi un'altra ancora, poi una terza ed infine s'è girata.
- Mah, io sentivo Professoressa potevo immaginare mai che ce l'avevano con me?
Il primo giorno di ginnasio si presentò alla classe:
- Piacere, Margherita C., 18 ore a settimana.
Dicendolo tese la mano verso noi, come se tutta la classe dovesse stringerla.
Diciotto ore a settimana. Sono tante.
Ed in diciotto ore ne succedono di cose.
Succede che si studia geografia, con le ricette dell'India.
Succede che si difende la scelta del viaggio d'istruzione in Trentino con le parole del sommo vate: "... una terra promessa, un mondo diverso, dove crescere i nostri pensieri...".
Succede che "io butto sangue per voi!"
Succede che diventi un po' figlio.
Ho ripreso l'Eneide qualche sera fa. Ho aperto una pagina a caso. C'era il segno blu di una penna. La sua!

Io sarò teco ovunque andrai...

Chissà che fine faranno i miei disegni?