Sbatto le mani ed una nuvola di
magnesio avvolge il mio applauso.
Una lama di sole mostra il volo
impazzito delle particelle bianche, che lentamente si disperdono in aria.
Un passo.
Un salto.
E le mani immediatamente
stringono gli staggi.
Un’oscillazione in avanti e poi
subito il corpo indietro.
In verticale sulle parallele
simmetriche.
Le braccia tese.
I piedi uniti e le punte in
estensione, verso il cielo.
Sto pregando a testa in giù.
Prego che i polsi fasciati non
cedano.
Che gli addominali non esplodano.
Che i lombari non collassino.
Che i bicipiti mi assistano.
E che i congiuntivi siano tutti
giusti.
È il mio momento di equilibrio.
La mia messa.
Il silenzio è come deve
assolutamente essere: religioso.
Prima dell’eucaristia, la
parabola:
In quel tempo ascoltavo i
Queen. I Queen e Battisti. Ma non
le cose ricercate tipo “Mustapha”
e “Abbracciala Abbracciali Abbraciati”. No ero tutto Canzone del sole ed
Innuendo.
Tanti giri di Do ed una
sconfinata verginità musicale.
Avevo appena capito che si poteva
suonare un Sol7 senza saper fare il barrè.
Ero diventato un virtuoso del Mi
cantino.
Ci facevo il Bolero di Ravel ed
il Ciclone di Pieraccioni.
Non tutto l’assolo. Poche note.
Poi mi fermavo e sorridevo. E per lei ero il migliore… anche con la chitarra.
L’amore aveva il nome di una
donna solamente e solo di quella, inciso diecimila volte sullo zaino invicta
vicino all’enorme scritta Led Zeppelin a pennarello indelebile.
Ero assolutamente convinto che
avrei aperto un negozio di modellismo a Lisbona.
Dalle parti di Bèlem.
Mi sarei ingozzato di pastilles,
guadagnandomi soprannomi vari, tutti riconducibili a suini o pachidermi.
Valeria è grande. Ha diciassette
anni. Uno più di me.
Ci dividiamo le cuffie del
walkman.
… il carretto passava e quell’uomo gridava… GHIACCIOLIIII!
Quella cretina di mia sorella!
Si diverte a registrare sulle mie
cassette.
Valeria ride.
La bacio.
I suoi occhi diventano enormi.
Parlano.
Dicono: “Che cavolo stai
facendo?”
Ma io non li ascolto.
Non li ascoltiamo.
Ci baciamo.
Lo zaino è pesante, perdo
l’equilibrio e cado a terra.
Valeria ride di nuovo.
-
Parti domani?
-
Sì, sì!
-
Sicura?
-
Scherzi? Cioè Londra, mica la tua Lisbona!
-
E che fai a Londra?
-
Imparo l’inglese.
-
E poi?
-
Ci scrivo una canzone!
-
E poi?
-
Ci divento famosa!
-
E poi?
-
A te nemmeno ti penso!
-
Stronza!
-
Stronzo tu!
-
Torni?
-
Buh!
Colonna sonora: Abitudine (Subsonica)
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