mercoledì 21 febbraio 2007

Centro Isterico (2) (di Domenico Cogliandro)


Potremmo parlarne per giorni, ma l’importante è capire il gesto, più che la provocatorietà del gesto stesso. Sicché, quella che nel passato è stata la Loggia dei Catalani, e che alla fine del settecento è diventata una residenza, e che nel ’43, nonostante le favole, non si è sbriciolata, come altre parti di città, sotto una semina di schegge e fiamme, anzi ha fatto bella mostra di sé fino alla scarificazione e alla demolizione nel 1989, si è trasformata nel teatro filosofale delle cose “senza forma” rimesse in gioco dalla iperrealtà di Uwe. O, in due parole, nella Cattedrale. Per 136 giorni di filato è rimasto aperto al pubblico, con tanto di reception e di bookstore, il Museo Urbano di Piazza Garraffello le cui opere, alla Duchamp, sono state liberamente donate dai cittadini della Vucciria, e di Palermo, alla fruizione collettiva e alla trasmutazione in Cattedrale, passando per le mani di un visionario. Ma, attenzione, la vera novità non è stata la performance museale quanto il ripristino temporaneo di una economia, di ruoli e di idee, basata sull’etica dello scambio e sul rispetto sociale. L’arte non ha, così, invaso uno spazio, e basta, ma ha creato una serie di sinergie e di opportunità per chi viveva, vive e vivrà il vuoto di Piazza Garraffello. Poi, come accade spesso, è successo qualcosa o, meglio, una serie di cose la cui prossimità si può leggere in maniera consequenziale o in modo casuale. Fatto sta che l’accaduto ha interrotto il processo virtuoso innescato dal micromuseo.

Quando si devono dire certe cose, le espressioni dei volti ammiccano, chi scrive e chi legge, la schiena si curva in avanti, la confabulazione si mostra più delle parole che ne evidenziano il senso. Il racconto d’invenzione ha fatto emergere geni indiscussi della letteratura ma, nel passato, quando tutto sembrava splendente e rinascente, e l’architettura e le arti emanavano, già nel proprio tempo, la rivalsa sull’oscuro, lo stesso racconto mandava al rogo disinibite fanciulle e lungimiranti intelletti con l’epiteto di streghe ed eretici. Per cui, attenti a non perdersi nella palude del racconto, la finzione stilla inebrianti visioni e nel discernere sta la misura delle cose. Per collocare gli eventi bisogna dare i numeri (e dopo, magari, giocarseli al Lotto). 136 giorni (1 e 36, o 13 e 6) sono tanti. Man mano che l’immondizia si sovrapponeva e, sotto, le cose scomparivano, ma sempre immondizia era, Uwe ha lavorato dieci ore al giorno (10) per cinque mesi (5) per trasformare l’informe in forma. Già dal tempo di Schinkel il degrado, la rovina, ha suscitato l’elegia letteraria del pittoresco, ma erano rovine che rovinavano e i travellers non avevano altra intenzione che descrivere, o immaginare il passato, più che figurarsi il futuro. Insomma, dopo una lunga preparazione di accatastamento, selezione, cernita, composizione, sovrapposizione, incastro, legatura, fissaggio, controllo, il 6 e 7 ottobre (annotare) Uwe ha concluso l’opera, la Cattedrale condividendo con vucceri, panormiti e astanti, il proprio ingegno in una festa durata quarantott’ore di filato (48). Poi s’è riposato, un po’, e s’è rimesso al lavoro per documentare, in un catalogo, quel che ha fatto e quel che è successo. Ora, mi si dirà, che c’entra l’arte con la spazzatura? Nulla. L’artista già vede l’arte nell’immondizia, o in qualunque altra composizione che sia naturale o artificiale. Quello che vede, però, è intraducibile a parole, per cui per dire quel che vede deve tradurre in una lingua formale, condivisa o, almeno, condivisibile, ciò che appare informe. Così un “affastellamento graduato”, per dirla con Marinetti, di cose senza valore può diventare, applicando un metodo e un’idea, una composizione che dà valore alle cose. Ora, se Uwe avesse trovato elefanti li avrebbe addomesticati pur vedendo già, nell’elefante, la bellezza di posture e movimenti che, agli occhi di molti, tranne che dei bambini, ovviamente, possono sembrare goffi e disarticolati. Ma questo è accaduto sotto gli occhi di tutti, durante un’estate afosa e umida, mentre molti palermitani doc erano sulla barca degli amici, sotto le pinnate liparote, a svernare in costume e tette al vento, oppure in mutandoni al tennis club. Il Museo autoprodotto e autocostituito di piazza Garraffello è rimasto aperto, giorno e notte, protetto e coccolato dagli abitanti della Vucciria, per la gioia di molti turisti stranieri, degli avventori del Kals’Art, dei cittadini stoici e squattrinati di Palermo che a passeggiare non costa niente, e se si può vedere, e capire, e parlare con Costanza, e farsi accompagnare dai bambini che spiegano le istallazioni d’arte: insomma, una bella cosa, altro che Art’attack.

Uwe e Costanza hanno prodotto il catalogo della cosiddetta Cattedrale. E qui ci siamo. Ma una serie di avvenimenti hanno fatto capolino, a presagire l’accaduto. Forse l’articolazione degli eventi potrà trovare traccia nell’ordito che solo Shakespeare osa tramare alle spalle dei propri attori, ma se Uwe e Costanza fossero personaggi da soli non potrebbero combinare altro che non fosse il resto del loro destino eppure - e qui torna la storia, il teatro, l’invenzione – altri personaggi s’affacciano, entrano, scompaiono e muoiono o, come ombre, tutto osservano senza mai intervenire. Il 21 novembre mattina una squadra ben organizzata di persone ha transennato gli accessi alla piazza e, sotto indicazione di un funzionario dei vigili urbani, ha iniziato il lavoro di smontaggio della Cattedrale. Un blitz, per modo di dire. Ma questo è l’atto finale. Io proverei a risalire la corrente, fino a un posto lontano da qui, e poi ridiscendere dopo aver lasciato le tracce del proprio passaggio. Molti anni fa, memore di una crociata, e sulla spinta di un’emozione popolare dovuta alla morte violenta di due martiri della Patria, Orlando tornò sul campo di battaglia a contendere ai Mori la spada Durlindana. Vinse, e diede l’avvio ad un periodo di rinnovamento sociale e civile che molti chiamarono, per il cambio di stagione, la Primavera. Non entro nel merito di cose che conosco poco ma, diciamo, una delle azioni virtuose dell’interregno fu l’aperto interesse per il recupero e la trasformazione del centro storico di Palermo, nonché l’avvio di attività culturali ad ampio spettro rivitalizzando zone morte della città. Dopo una serie di vicissitudini armigere, e un secondo breve regno, gli è succeduto un principe Azzurro che ha attivato sue strategie, e disattivato quelle del predecessore tanto che, risulta agli atti, il fido scudiero di Orlando, tal Emilio, ha chiesto al principe Azzurro notizie sul restauro della Loggia dei Catalani, di proprietà del Comune e, quindi, della città. La cosa ci pertiene, per quanto alle spalle si trami e si organizzi, perché la suddetta Loggia altro non è che la sede della Cattedrale; ma l’Emilio citato ha richiesto chiarimenti in là nel tempo e in periodo non sospetto, ad onor del vero, da pensare di collimare con l’opera di Uwe, e la sua demolizione, una certa qual relazione. Evidentemente parlo per sentito dire – mi invento – e per altrettanto detto mi risulta che qualche giorno prima del blitz Uwe e Costanza stessero facendo colazione in un bar del centro. Caffè, cornetto e cappuccino. Stavano seduti, e chiacchieravano del catalogo appena sfornato. Per un caso - non vuoi che sia tale? – fortuito, nello stesso bar, opportunamente seguito dai suoi bravi, s’è affacciato sorridendo il principe Azzurro e loro due si sono sentiti in dovere, ma senza riverenze, di omaggiare del catalogo la corte tutta. Scrive Shakespeare in Misura per misura Il gioiello che noi vediamo, ci chiniamo a raccattarlo in quanto lo abbiamo visto; ma a quello che non vediamo passiamo sopra senza accorgercene. E quest’è successo, ma au contraire. Quel gioiello è stato donato, disinteressatamente, nelle mani delle autorità che avrebbero dovuto esaltarlo più che privarsene. (CONTINUA)

Colonna sonora: Letter read (Rachael Yamagata )

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