lunedì 29 agosto 2011

Mattanze


La pianista nipponica alla fine lascia lo sgabello.
L’accompagno con lo sguardo, imparando a memoria tutte le pieghe del suo abito nero, finché non la vedo sparire dietro una porta.
Undici trombettisti dal look total black si impadroniscono del palco.
Il maestro annuncia l’ensemble e gli ottoni iniziano a gracchiare le prime note di Puttin’ on the Ritz.
La location è suggestiva: lo stabilimento dei Florio sul porto di Favignana.
Nella mia testa il mostro gigantesco di Mary Shelley è vestito in frac ed inizia a dondolare a tempo, poggiando tutto il suo peso su un esile bastone dal pomo bianco.
Lì dove i tonni venivano sventrati, appesi e bolliti, io consumo il mio piccolo genocidio.
Inizio dalla più lenta e, mentre il palmo della mia mano, la priva della vita, la scopro orrendamente gonfia di sangue. Poi continuo, sterminando le altre: una mattanza di zanzare.

“… Dressed up like a million dollar trooper
trying hard to look like Gary Cooper
super-duper…”

Il ragazzino vicino a me fissa il palco, con la testa incassata nelle spalle, come i pugili prima di ricevere un pugno.
Tutti ci giriamo verso di lui. Il pezzo, reso immortale da Fred Astaire, viene per qualche secondo micidialmente offuscato da un orribile midi del successo dell’estate: Mr Saxobeat .
Il ragazzino estrae velocemente il telefonino dalla tasca, guarda lo schermo e tronca, innervosito, il motivetto discotecaro.
«Stùtalo!», gli urla un coetaneo, anche lui ha un cellulare in mano e la faccia furba.
Altri sette ragazzini approvano lo scherzo, sottolineandolo con grasse risate.
Serro gli occhi e riesco a sentire ogni piega del mio viso. Troppo sole, domani sarò sicuramente tutto spellato.
Scivolo sulla sedia poco dignitosamente, scomposto e inopportuno.
Improvvisamente sono altrove, lontano chilometri dalle onde, che bussano contro le grate dello stabilimento. Fa fresco.
Qualche secondo e sono di nuovo scompostamente seduto sulla mia sedia in plastica, avvolto dall’afa.

“You make me this,
bring me up,
bring me down,
play it sweet,
make me move like a freak…”

I pensieri si annullano, lasciando il posto alle parole, che completano il motivetto del cellulare.
Mi stupisco di conoscerle a memoria.
«Ci state rompendo i cugghiùna!», urla il ragazzino al mio fianco.

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